Cosmocromie

" significati cosmologici di una problematica luminologica "
Tra i testi di maggior riferimento si riporta lo scritto di Toni Toniato


"Il Centro del Centro", 2001
tecnica mista su tela, cm 122 x 122

"Ermete", 2002
tecnica mista su tela, cm 200 x 100

"Oltre il Vuoto", 2003
tecnica mista su tela, cm 200 x 100

"Mondi Paralleli", 2003
tecnica mista su tela, cm 100 x 150

"Musicali Cromie ", 2003
tecnica mista su tela, cm 60 x 120

"Cosmocromie", 2003
tecnica mista su tela, cm 100 x 200
Cosmocromie

"(…) il destino di non distogliere mai l'orecchio
dalla bocca dell'anima"

(V. Kandiskij)

"Quanto fu ampia la libertà di scelta di Dio nella
costruzione dell'universo?"

(A. Einstein)

La sfida che Rosario Tornatore ha voluto affrontare in un recente ciclo pittorico, che si presenta qui per la prima volta nella sua unità, investe una tematica che sovente ha caratterizzato i rapporti tra il mondo dell’arte e quello della scienza. Un rapporto divenuto nelle vicende dell’arte moderna sempre più stretto, quasi, per essa, ormai obbligatorio, influenzando, come è accaduto, i principali movimenti delle avanguardie, dal Cubismo al Futurismo, dall’Astrattismo all’Informale e allo Spazialismo i cui linguaggi, sia pure in forme diverse hanno in effetti anticipato o rispecchiato intuizioni e conoscenze relative alle conquiste moderne del pensiero scientifico.
Questa condizione culturale può, magari, spiegare le ragioni per le quali anche le ricerche di Tornatore, si siano mosse, pressoché fin dai suoi esordi artistici, su direzioni quasi analoghe a quelle già tracciate dalle avanguardie storiche. Riprese e mutuate dall’artista con il proposito, divenuto in seguito davvero, per lui, determinante, di orientare e conformare con impegno altrettanto radicale le proprie esperienze sulla base di un necessario raccordo concettuale e formale con quei principi conoscitivi che sono serviti del resto ad indagare e scoprire fenomeni della natura altrimenti inspiegabili, riuscendo di conseguenza a codificare altresì in forme matematiche talune delle proprietà primarie del mondo vivente, soprattutto per merito della fisica einsteniana e della teoria quantistica, nonché delle recenti indagini sulla genetica molecolare e sul mondo sub-atomico.
Tornatore ha recepito simili orientamenti con un’acutezza del tutto particolare, trasferendoli al bisogno medesimo di amplificare ed arricchire così i territori del proprio pensiero immaginativo e con ciò a fare emergere quelle segrete ma lucide istanze spirituali che per l’appunto l’hanno condotto, oggi, ad imprimere una nuova misura al proprio orizzonte conoscitivo e linguistico nella prospettiva di tradurre nella materia della pittura e della scultura l’essenzialità ordinatrice che pervade ed unifica le complesse molteplici “figure” dell’universo, in gran parte ancora sconosciute alla scienza e all’arte.
Appena qualche anno prima i suoi svolgimenti formali erano per lo più indirizzati, invece, ad enucleare con fantasioso, straripante vigore espressivo secondo modi addirittura neobarocchi e neoliberty, una realtà figurativa, densa di stupende allusioni biomorfiche ai processi generativi e proliferanti del mondo della natura: ramificazioni gigantesche, onde tumultuose, esplosioni telluriche, fiammeggiamenti vulcanici, un sommovimento di linee-forza policrome che irrompevano sulla superficie dei dipinti con magnetica potenza ed ineludibile fascinazione.
Persino la propensione a qualche compiaciuto ripiegamento decorativo dovuto a una certa innegabile abilità di mestiere, non tratteneva l’artista, specie nella produzione degli anni Settanta, a sintetizzare, comunque, con icastica fermezza struttiva, i profili e i ritmi di quelle figurazioni destinate a decantarsi in svolgimenti ulteriori e necessariamente astraenti, puntando con ciò a trasmettere innanzi tutto il movimento plastico di quelle evoluzioni naturalistiche. Talora, poi, si accampavano sullo spazio, tra stesure di colori infuocati, volti di personaggi mitici, dai tratti ancora nobilmente classici, memori di archetipi figurativi di continuo frequentati e riproposti-nuovamente dalla cultura dell’arte mediterranea.
Appariva insolita questa commistione di figurazione e astrazione, di immagini e di geometrie, materiali compositivi associati per rimandi simbolici e nello stesso tempo sembrava del tutto placata l’antinomia di quelle polarità linguistiche nel corsivo dispiegamento poi di un’allegorica del colore in funzione di un luminismo rievocante edenici splendori.
Ma già precedentemente Tornatore  era arrivato, per vie intanto proprie, a una sorta di cinetismo visuale per il quale si è trovato spesso apparentato, specie durante i suoi anni parigini, con i protagonisti dell’Optical Art, per esempio con Le Parc e Vasarely, che in quel periodo egli ebbe certamente da conoscere e frequentare; tuttavia le griglie geometriche entro cui l’artista proiettava le sue tipiche accese scalarità cromatiche e spaziali  inducevano a determinare un reticolo prospettico di ascendenza ancora albertiana, che ben poco aveva quindi a che fare con le distorsioni retiniche e con il perturbante illusionismo percettivo delle grammatiche visuali neoghestaltiche.
Per Tornatore i riquadri progressivi scandivano, infatti, una diversa dinamica spaziale, assumendo la geometria con riferimento ad un rinnovato equilibrio strutturale dei piani plastici, e quindi a riordinare entro uno schema razionale la foga, viceversa, impetuosa delle tessiture dilaganti delle varie fasce cromatiche, ordite secondo libere successioni di registri, talvolta persino intensamente dissonanti, ma rapportati in ogni caso alla funzione di far risaltare, pur sempre, il significato unitario di un originario assoluto lirismo. Una prodigiosa materia visiva, esuberante e simbolica, costellava le trame dei movimenti delle aggregazioni coloristiche, evocanti già i processi combinatori di un’alchimia soprattutto  luminologica.
Proprio il predominio di un epifanismo luminoso, tra quelle ritmate enunciazioni geometriche, doveva indicare da subito, ai suoi autorevoli esegeti, quali riferimenti speculativi guidassero, in effetti, le ricerche dell’artista nel coniugare in modo tanto difforme quel linguaggio, pure di medesima provenienza “concretista”, ossia per declinarlo da parte sua e secondo congeniale vocazione, più nel segno dunque dell’astrazione lirica che in quello di uno scientismo percettivo.
In altri termini, Tornatore andava oltre gli esigenti vincoli di una “psicologia della forma”, anzi egli proseguiva, magari, sulla linea della concezione “spirituale” di Kandinsky, - della libertà interiore e dello scandaglio autoriflessivo - a motivare e qualificare tutto sommato proprio la validità di un percorso diverso per poter liberamente rappresentare, allo stesso modo, mondi immaginativi  appunto nuovi.
A seguito, tale risolvente pronunciamento si sarebbe accertato in maniera piena e decisiva, seguendo in modo altrettanto puntuale i clamorosi svolgimenti che presero le sue ricerche verso una relativa visione cosmologica, consentendogli perciò di accedere, con stupende raffigurazioni, ai paradigmi concettuali e scientifici del tempo presente, riaffermando nel frattempo un’idea della natura intesa quale infinita manifestazione della trascendenza, quale forma stessa della bellezza, forse non del tutto percepibile, ma da continuare ad esplorare e contemplare, da concepire perciò come luogo sia d’avvenimenti fisici incommensurabili sia di sublimi emozioni visive.
Ma, prima, egli doveva disancorare, in modo definitivo, le raffigurazioni, fino allora elaborate, dalle narrazioni fantasiose e mitografiche ancora persistenti e dalle stesse auliche metafore di un naturalismo “ astratto”. Doveva per questo indagare sulle sorgenti originarie di questi suoi “paesaggi interiori”, costituiti, allora, in modo dominante, di pulsioni oniriche e di allucinanti fantasmagorie, fino a poter giungere quindi a decantare con purezza estrema le parallele armonie della creazione, di quell’enigmatica realtà che circonda l’origine dell’universo e l’essenza di ogni forma di vita, compresa quell’esperienza dell’essere che il linguaggio dell’arte, secondo il filosofo Martin Heidegger, fonda “poeticamente”. Ricorrono, per certi afflati interni lo stesso pensiero, queste immaginifiche proiezioni cosmologiche che abitano i recenti dipinti, maturate nel passaggio dalle precedenti stilizzazioni di organismi naturali, di volta in volta trasfigurati, alle più tarde sagome di corpi ogivali, saettanti, tra cielo e mare, su orizzonti indefiniti, idealmente sconfinanti.
Tornatore non aveva mai rinunciato, intanto, alla cocente aspirazione di visualizzare la musica che egli, del resto, aveva coltivato fin da giovane, persuaso, come lo stesso Kandinsky, che essa fosse in ogni caso l’espressione più spirituale cui dovevano richiamarsi e tendere le diverse arti. Su questa base egli cercherà addirittura di trovare e di ascoltare le sonorità di una sinfonia naturale, alla quale attribuire in pittura corrispondenze lineari e cromatiche, andamenti spaziali e viluppi ritmici, arrivando quindi a conformare e focalizzare la plasticità di quelle forme del mondo organico ed inorganico trasposte, ora, in sintetiche, ancorché grandiose, figure astratte, in analogia, altresì, con determinate fenomenologie delle realtà del macrocosmo. Quella musica della natura è in ogni caso, per lui, il linguaggio originario dell’anima, del “fiat” – essenza della luce – che si manifesta e si propaga in ogni aspetto  del mondo soggettivo e di quello oggettivo, per cui ogni ricerca di ascolto autentico e aperto da parte dell’arte dovrà allora divenire un modo di interrogare, di per sé, le profondità di una visione della stessa creatività.
Forse anche per questo il nucleo vitale e poetico dell’artista va riconosciuto già nella concezione che egli ha posto agli inizi del proprio lavoro, in quell’incipit di un colore-luce, cioè nella formulazione con cui, dopo le prove di mero addestramento accademico, egli andava saggiando, ormai in termini del tutto dichiarati, nella ricerca di una esclusiva dinamica luminosa che andava ben oltre le suggestioni del colore d’ambiente. In quelle premesse appaiono compresi, per tanti versi, gli stessi svolgimenti futuri, ma soprattutto, le ragioni che l’hanno del resto condotto su ambiti linguistici dell’astrazione europea, all’incrocio tra neoconcretismo e analitica autoriflessiva sino a scavalcare le sintassi topologiche di una metrica calibrata soltanto su elementari rapporti geometrici, pedantemente iterati, e a riuscire con gli ultimi lavori a dare invece corpo alle effusive energie spaziali della luce tanto da farla diventare, ostensivamente, l’idea ormai primaria, anzi la sostanza ontologica del proprio evento pittorico.
Infatti il concetto di luce-forma si declina, nell’opera attuale, all’interno di un processo rigorosamente razionale che l’artista compie in un’azione di meditata analisi sui propri enunciati linguistici, tanto intensa quanto azzardata, così che per non comprimere la forza di una spiritualità inquieta, ma anche di una captante sensibilità, egli è costretto a negare di conseguenza ogni “a priori” geometrico, per ritrovarne bensì una superiore  armonia nella dialettica interazione di elementi che rinsaldano la sottigliezza della ricerca intellettuale alla magia espressiva delle raffinate invenzioni formali. Vige nella sua pittura un’idea metafisica della “lux” ed insieme il percepibile fenomeno del “lumen”,del “radius” e dello “splendor”, modalità che agiscono a configurare queste cosmografie di Tornatore, ne sono perciò il transito insieme conoscitivo e la visibile trama che anima ogni “colore”, ogni “figura” dei molteplici mondi immaginativi che quest’opera inaugura con l’ineffabile flagranza di una musica visiva, di una pluralità di accenti, di ritmi, di forme nella stessa infinitezza dello spazio pittorico. Ogni volta del resto la pittura chiede soltanto di farsi pittura, in questo consiste la sua “scienza”, il suo terreno propriamente epistemologico, perché non si creda poi, il che sarebbe fuorviante rispetto al concreto significarsi dell’atto artistico e insieme concettuale di Tornatore, che egli intenda, della luce   simulare, in una sorta di affabulazione fantascientifica, una qualche rappresentazione, sebbene ipotetica, della fisica dell’universo. Ciononostante questi “mondi”, benché evidentemente virtuali, aprono “visioni” che appaiono però provenire da ascolti di suoni e forme possibili dell’universo, le superfici dipinte sembrano accogliere e descrivere le interferenze di fasci gravitazionali, registrare il movimento di onde e corpi orbitanti nello spazio e traslati su quello pittorico, divenuto anzi, in senso evocativo, un campo originato ed attraversato da energie elettromagnetiche capaci di rivelare traiettorie davvero  stupefacenti, forse sulla suggestione dello stesso concetto einsteniano sulla curvatura dello spazio-tempo, per cui ogni immagine che qui si produce nella sua pittura assume la “figura” di un’energetica di forze identificate poi con le dinamiche di una fluttuante e vitale geometria della luce, istituendovi nuove impreviste relazioni tra luminosità e cromatismi, tra forma e spazio. Si propaga, infatti, in ogni direzione sulle superfici dei quadri e delle sculture un duplice movimento di espansione e di concentrazione, una dynamis di luminescenze e di iridati spettri, di volumi vibranti, carichi di sorprendenti energie nella materia di un visibilio di incognite stereometriche vivezze. Si formano e scintillano orfiche monadi nei cieli splendidi di Tornatore visitati da una luce, insieme fisica e metafisica, la quale porta con sé indicibili risonanze spirituali; i suoni riposti dell’anima dell’artista echeggiano di quel desiderio d’infinito da cui essa viene e di cui essa si alimenta.
Si può, allora, comprendere perché dietro questa pittura si avverta persino una rinnovata dizione della poetica del dinamismo futurista – delle sue ascendenze simboliste – specie, per riferimento evidentemente più congruo, con le prismatiche cellule iridescenti del Balla più anticipatore e nello stesso tempo si colgano, con rilancio diversamente radicale, le cruciali problematiche dei Delaunay e dei “suprematisti” russi, ma, soprattutto, si ritrovino, variamente proposte, le folgoranti intuizioni che furono già di Giordano Bruno con la teoria sui “mondi possibili”. Cieli di mondi possibili sono per l’appunto anche le raffigurazioni recenti dell’artista che aspirano a visualizzare e descrivere non soltanto una musica delle “alte sfere”, ma insieme i segreti mutamenti che governano l’ordine della creazione e in parallelo – essendone concessa la conoscenza soltanto allo spirito che può veramente rifletterla – l’ordine di quel “proprium” che, platonicamente, appartiene all’arte come riflessa mimesi del soprasensibile e dell’ultrafenomenico.
In questo caso si presti attenzione anche ai titoli dei singoli dipinti per accordare alle relative immagini il senso, emblematicamente insidioso, che sta nelle proposizioni con le quali si viene a veicolare la giusta temperie di una “imagerie”, tanto accesa quanto acuminata. Poiché in quelle “apparizioni” di Tornatore, nei diagrammi delle strutturazioni luminose, a enunciarsi e pronunciarsi, in sostanza, è il mistero, di per sé ugualmente mai del tutto sondabile, della pittura che torna, ogni volta, a farsi “mondo”, ma anche modalità, altrettanto incomparabile, di un’esperienza sempre nuova del mondo. Così l’artista, non solo simbolicamente, accende opposizioni dialettiche estreme, dall’incandescenza dei rossi ai bianchi ghiacciati, dai gialli solari agli azzurri profondi, ordendo ed intessendo tutte le tonalità dello spettro, in un inedito concertato al culmine del raggiungimento di un’immanente stupefazione lirica che pare d’altronde permeare la motilità elettrica ed energetica di quei “cieli” spinta ormai ad espandersi oltre i margini dei quadri, dentro l’ambiente che li riceve, dove continua sovranamente ad agire con siderale bellezza. L’immaginario di Tornatore si rivolge pertanto a portare alla visione i colori possibili dell’infinito, delineando una complessa topologia della luce dalle “alte temperature” e costruendo con questa materia ideali immagini di possibili  architetture cosmiche. Si dispiega perciò la messa in atto, da parte dell’artista, di un epifanismo luminoso che sovrasta e che eccede i limiti di una spazialità ancora geometricamente configurabile, perché quell’evento pittorico si apre a una pluralità dimensionale, a una condizione di incessante mutamento, avuto inizio a sua volta da un principio costruttivo che rivela un anelito di altra trascendente natura.
La plenitudine solare dei caratteristici cromatismi di Tornatore si fonde, a questo punto, con l’incandescente trasparenza di una luce diversa, non solo sensibile, ma mentale, spirituale, aspirando a irradiare le pulsazioni di quella misteriosa danza celeste che tutto muove, il naturale e il sovrannaturale nell’empito di un identico vitale “conatus”. Da queste ragioni giungono le eteree cangianze che la sua pittura oggi ricerca, le raffinatissime velature, le mirabili movenze dei volumi luminosi – frutto di una fluidità di mano e di pensiero, levità e grazia – per intelligenza ed emotività – accenti gli uni e gli altri profusi di spiritualità; indizi pregnanti di una stagione creativa non solo proficua ma anche  di rara intensità poetica. Codesti sono i fattori che principalmente operano a determinare quel ductus erratico ed insieme ascensionale delle forme nello spazio, puramente sostanziate dall’epifania luminosa, dalle sue incalcolabili “ evoluzioni”, le quali iscrivono in sé le “figure” di nuove dimensioni di “mondi”, dei loro specifici magnetismi, rifluenti dentro la materia vivente del visibile e dell’anima con l’imprimente potenza di uno sguardo che al proprio vertice di ideazione e di conoscenza disvela profondità non diversamente raggiungibili.
…Tornatore porta sulla ribalta del caleidoscopico teatro dell’arte moderna la visione di una realtà incommensurabile, le sue attuali “immagini” recitano un ruolo significativo nel processo di trasfigurazione con la quale l’artista intende ricreare le misteriose energie del cosmo e della psiche, tramite un’immaginazione poetica rivolta a figurare le possibili geometrie dell’essenza della luce.
Ben si sa che il pensiero luminologico vanta, in proposito, una lunga storia, a partire almeno dalle riflessioni metafisiche del Grossatesta alle cosmogonie ottiche di Cusano, dalle “uranografie” dei pittori del Seicento sino ad arrivare, in tempi più recenti, ai “buchi neri” di Vedova e alle “mappe astrali” di Kieffer ed, oggi, alle “cosmocromie” di Tornatore, radiose partiture forse suscitate - per riprendere talune categorie della teologia medievale - dallo stesso “visus interior”. Lo attesta il fatto che nel circuito delle vertiginose emergenze spaziali del colore, delle parabole elicoidali dei vari tracciati lineari, delle intersecate  vettorialità delle forme, ogni elemento stilistico messo praticamente in atto dall’artista per costruire quell’immagine tende ascendere splendidamente verso il “lumen proprium”, riflesso visibile di quel luogo non luogo della “lux” di per sé infigurabile in quanto assoluto prima e assoluto oltre, sulla cui “soglia” si è inoltrato con gli ultimi lavori, lo sguardo acutamente visionario di Tornatore che in effetti ci tramanda qualche nuovo rimemorante “segno” di quell’empireo e della sua inattingibile magnificenza.

Toni Toniato

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