Introduzione

Da alcuni decenni il pittore siciliano Rosario Tornatore si è trasferito -- con una scelta ormai definitiva ma non casuale - a Cerrina, nella provincia di Alessandria, abitando in una solitaria residenza di campagna divenuta altresì il laboratorio di studio e di ricerca dove sono nate per l’appunto le opere che  vengono qui documentate e che compongono un periodo storico della sua produzione dal 2001 al 2013, offrendo  uno spaccato ricognitivo ugualmente esaustivo, quanto mai rilevante e puntuale attorno a quei cicli pittorici che si sono validamente succeduti nell’arco perciò di tale periodo e che infine segnano per vari aspetti il culmine forse più alto della sua feconda maturità creativa.
In quell’ambiente raccolto e silenzioso, immerso nel verde della natura, dove inoltre continua a coltivare un’immutata passione per gli animali e il giardinaggio, Tornatore ha trovato dunque la condizione ideale per rinnovare le forme e i contenuti del suo fastoso immaginario pittorico, ora declinato sul rapporto tra la razionalità costruttiva di una geometria soltanto in apparenza astratta e l’architettura plasticamente sconfinata delle pure energie cromatiche, raffigurando in straordinarie trasposizioni e prospezioni fantastiche le caleidoscopiche morfologie di “universi” possibili, se non paralleli, della materia vivente, ancorché non sempre visibile, della luce, della sua spaziale infinità cosmica.  
Qui, a Cerrina, l’artista ha del resto scoperto il luogo meglio adatto per poter allora riflettere e lavorare senza venire distratto da influenze esterne, tanto da sentirlo perciò del tutto congeniale anche per le proprie spericolate peripezie espressive e dove, infatti, ha voluto stabilirsi, preferendo quindi ritirarsi in un necessario isolamento, cioè fuori dai frenetici clamori, sebbene ufficialmente di certo più vantaggiosi per la carriera di un artista, delle capitali culturali come Roma e Parigi in cui sino ad allora aveva vissuto e dove si era meritatamente affermato. Ma qui invece egli è riuscito davvero a concentrarsi sulla pittura per dare ascolto soltanto alle pulsioni immaginative più intime e recondite, volgendosi in questo senso ad indagare addirittura le irraggiungibili profondità di quel mistero che sta alla base delle stesse origini della natura dell’universo, dei multiuniversi che abitano gli immensi confini siderali, forse ancora sottratti allo sguardo dei più potenti radiotelescopi ma non alla specola avventurosa di quel pensiero dell’arte che sa vedere e sa evocare l’invisibile. Perché è l’invisibile, ciò che va oltre le facoltà della percezione ottica, il soggetto delle odierne risoluzioni pittoriche di Tornatore le quali rappresentano unicamente delle dinamiche di forze generatrici - linea, colore, forma - che si espandono e si contraggono, l’antropia e l’entropia dei medesimi sistemi naturali, delle parabole cubo spettrografiche o ondulatorie che si  riflettono in simmetrie o asimmetrie, proiettandosi secondo regole di concertati viluppi, snodi, evoluzioni spaziali di inusitati ed affascinanti accenti e ritmi visivi. Tornatore certo non aspira con queste propositi ideativi, con queste complesse elaborazioni tematiche e formali, a simulare artificiosi diagrammi di una fisica quantistica e meno ancora imitare, figurandole, le strutture di particelle elementari della stessa  materia cosmica, bensì intende analogamente descrivere l’ordine non fortuito, ma interagente che muove e produce l’originaria musica del creato. Di questa meraviglia è sostanzialmente pervasa la sua pittura, ad essa si sente attratto nel tentare poi di inscrivere sulle tele la stessa misteriosa armonia, consapevole che ogni ente, ogni vita ne fanno parte come al principio dell’essere assoluto, Anche per lui dunque la pittura è un mondo del mondo, un far mondo le sue possibile epifanie, dove il segno, il colore, la luce, coniugano ancora aspetti e visioni altrimenti inaudibili.
Dagli schermi di queste tele emergono infatti stupefacenti scenari, multipli prospettive, ritmi e metriche di geometrie sublimi, magnetiche irradiazioni di registri e scale cromatiche inusitate, luminosità rifratte in un’incandescenza liquida ed insieme cristallizzata negli speculari fulgori di ruotanti solarità, di scintillanti traiettorie formali che tendono a spaziare oltre i bordi del quadro. Sono gli elementi espressivi con i quali Tornatore costruisce i suoi “paesaggi” cosmologici, le visioni di “universi possibili” che ci invita a scoprire attraverso i mezzi più propri dell’immaginazione artistica il cui movente principale è quello di far vedere ciò che non diversamente si può conoscere e percepire ma anche ciò che altrimenti non si potrebbe “vedere”-
Nella mostra sono dunque presenti dei grandi dipinti che appartengono cronologicamente a cicli tematici diversi, dalle Cosmocromie, realizzate tra il 2000 e il 2004 - dando avvio al quel nuovo corso dei suoi imprevisti svolgimenti stilistici e nelle quali domina un colore di folgoranti accensioni, memore tra l’altro di bagliori mediterranei raramente così ben recepiti e trasmessi nelle forme di una pura astrazione lirica – alla serie delle Archecromie, del 2005-06, forme primigenie della “geometria della luce”, di una luce-colore che genera dinamismi di pervadenti energie nel giro di espansive rotazioni, di linee-forza o di “stringhe” - secondo una recente teoria della  fisica moderna - risonanti di remote plurime vibrazioni spaziali e, di seguito. il ciclo delle “composizioni” sul motivo delle Topocromie, eseguite tra il 2006 e il 2010, in cui l’organizzazione spaziale dell’immagine risulta amplificare la stessa dimensione delle singole varianti coloristiche, della fluida emissione sui circuiti lineari e sulle volute plastiche - corpi sferici o moti ellittici - di una sonorità luminosa dilagante e sempre più sconfinata.
“Esprit de geometrie” ed “esprit de finesse” qui si rispecchiano e si rinsaldano ormai inestricabilmente in una visione dell’assoluto che è soprattutto stato dell’Esprit, di un pensiero dell’Essere, lo stesso che presiede quell’idea e quel sentimento della luce che stanno al centro dell’ispirazione che ha guidato l’artista a queste straordinarie formulazioni nella totalizzante raffigurazione di una vera e propria “cosmologia luminosa”. Alludono alla stessa costituiva matrice le “astrazioni” dell’ultimo ciclo pittorico relativo alle Iconocromie, ma anche queste non sono poi che figure di colore-luce, pure “figure”, libere in effetti di evolversi plasticamente e spazialmente sulla superficie, magari aspirando a una conforme e non illusoria tridimensionalità ed, infine, di “apparire” nel concreto allo stesso incanto del loro splendore visivo, immuni perciò da ogni capzioso artificio ottico-percettivo come da ogni suggestione meramente simbolica, soltanto delle “icone” di una purezza cristallina suscitata unicamente da una spiritualità profonda. Queste epifanie della luce si rivelano come ci indica il titolo della mostra quali “mappe dell’invisibile”, di quel luogo dell’altrove a cui si richiama, evocandolo, l’atto stesso di ogni vero impulso della creatività.
Ebbene Tornatore ci porta a visitare questi suoi “multiuniversi”, convoca lo sguardo, lo sguardo dell’anima, a percorrerne le rotte, oltre i miraggi di scenari fantascientifici o di utopie meramente estetizzanti, gli uni e le altre del tutto ignorate o comunque estranee da queste lucide e rigorose visioni pittoriche e ci offre, invece, pensieri ed emozioni che riguardano altre “mappe” della bellezza, di una bellezza in ogni caso che è l’intangibile realtà dell’essenza dell’arte, oggi come ieri.

Toni Toniato


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